L’Arpa Birmana…

« Rossi come il sangue sono i monti e le terre della Birmania. »(Scritta in apertura e chiusura del film)

Birmania, luglio 1945: un gruppo di soldati giapponesi in ritirata nella giungla tenta di raggiungere il confine con la Thailandia. Il giovane Mizushima, per tenere alto il morale dei commilitoni, si fabbrica un’arpa e canta motivi tradizionali della propria terra. Quando giunge la notizia della capitolazione del Giappone e della fine della guerra, Mizushima accetta la missione di far arrendere un gruppo di fanatici suoi compatrioti che, rifugiatisi in una caverna, hanno deciso di continuare a combattere. Il soldato viene trattato da vigliacco e da traditore quando tenta di spiegare al comandante che, scaduto il termine imposto dagli alleati, la caverna verrà bombardata. Allo scadere dell’ultimatum, molti muoiono sotto il fuoco dell’artiglieria. Mizushima rimane ferito, un prete buddista lo raccoglie e cura le sue ferite dandogli una lezione di umanità. Mizushima decide allora di non ricongiungersi con i commilitoni e di diventare bonzo, per dare onorevole sepoltura ai corpi dei compatrioti morti. Quando i commilitoni lo riconoscono e gli chiedono di tornare con loro, egli imbraccia l’arpa e intona il “canto dell’addio”. Mizushima lascia ai compagni anche una lettera di addio, che contiene queste parole:
« Ho superato i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un urlo insano.
Ho visto l’erba bruciata, i campi riarsi… perché tanta distruzione caduta sul mondo?
E la luce mi illuminò i pensieri.
Nessun pensiero umano può dare una risposta a un interrogativo inumano.
Io non potevo che portare un poco di pietà laddove non era esistita che crudeltà.
Quanti dovrebbero avere questa pietà! Allora non importerebbero la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana.
Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine. »
Il filosofo 
Aldo Capitini, nel suo saggio La compresenza dei morti e dei viventi (1966), ha scritto che «religioso indubbiamente è nell’Arpa birmana il contrasto tra il piacevolissimo ritorno dei reduci alle cose semplici e quotidiane della vita e la missione di chi resta, solo e piangente, a seppellire i soldati morti»
 

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