di Marco Innocenti
Marco Innocenti, inviato del «Sole 24 Ore»
e autore di numerosi libri sugli eventi mondiali
sul costume del nostro Paese, racconta
i grandi fatti del passato e come l’Italia li visse
Il pomeriggio dell’8 settembre 1943 è uno dei soliti, anonimo, stanco, senza sussulti: è un mercoledì, impiegati in ufficio, casalinghe pronte ai fornelli per preparare il poco che passa il convento, ragazzi a giocare nei cortili. Verso sera la gente è in casa, qualcuno passeggia, la speranza è quella di sempre: che gli aerei nemici vadano a fare danni altrove. Improvvise suonano le campane, come fosse Pasqua. La gente ha gli occhi strani: è l’armistizio. «Ha parlato Badoglio, è finita la guerra. Finita». Gli italiani, per inerzia, sono ancora davanti alla radio. Pochi minuti prima, alle 19,43, il maresciallo Badoglio, con tono meccanico e impersonale, ha annunciato dall’Eiar di via Asiago l’armistizio. Una vera “bomba”: l’Italia, per un attimo, si illude che la guerra sia finita.
La gioia
La gente invade le piazze come una marea, le case si illuminano alla faccia dell’oscuramento, lungo le creste dei colli i contadini accendono fuochi di stoppie in segno di gioia. L’euforia si spande a macchia d’olio. Ma i tedeschi? Cosa faranno i tedeschi? Difficile che restino a guardare: non è nel loro stile, non è in quello di Hitler, che, con la solita eleganza, ha definito gli italiani un “popolo di zingari”.
I panzer di Rommel
8 settembre 1943. L’Italia è in guerra da 1.184 giorni, il fascismo è caduto da 45 e da cinque giorni, conquistata la Sicilia, gli Alleati hanno messo piede sul continente. Si fa notte. C’è afa. Nel buio delle caserme qualche ragazzo del Sud canta sommessamente la propria nostalgia accompagnandosi con la chitarra. I soldati aspettano ordini che non verranno. Nelle città devastate dalle bombe la notte trascorre calma, ma pochi dormono, con l’orecchio teso a rumori lontani. Poche ore e la luce incerta dell’alba coglie le sagome scure dei carri “Tigre” di Rommel. Eccoli i tedeschi. «Improvvisamente – racconterà un soldato – ci trovammo i carri armati davanti alle caserme». I tedeschi hanno tute mimetiche, i mitra puntati, le bombe a mano infilate negli stivali. A guardarli fanno paura. Le loro avanguardie serrano su Roma, ed è il panico. Il re, il principe Umberto, Badoglio, Ambrosio, Roatta, i generali sono in fuga, tutti insieme appassionatamente verso Pescara.
Tutti a casa
Il 9 settembre al Quirinale non c’è più nessuno, nemmeno i carabinieri. L’Italia reagisce come da copione e va a fondo. L’esercito si sfalda. Le prime colonne di soldati catturati dalla Wehrmacht vengono avviate alle stazioni ferroviarie con destinazione i lager tedeschi. Chi riesce butta la divisa e se ne va, in un fuggi fuggi generale verso casa. Le strade si riempiono di sbandati che ricordano un gregge disfatto. La gente dà loro abiti borghesi e da mangiare, aiutandoli con il cuore e con la borsa. Molti, però, non ce la fanno. La Wehrmacht si muove come sa, rastrella, intercetta i fuggiaschi, piomba sui pochi reparti che non si sono arresi e fa centinaia di migliaia di prigionieri sparando pochi colpi, ma sparandoli con ferocia.
L’inganno
I capi politici e militari italiani non sono riusciti a ingannare i tedeschi, ma hanno ingannato, sorpreso e abbandonato i loro soldati. Per i vertici l’8 settembre è un gioco di inganni, di opportunismi, di irresponsabilità e di paura: una nera pagina di storia. Per i gregari è inevitabile lo sfascio. A Cefalonia la divisione Acqui si fa fare a pezzi dai tedeschi, ma è un’eroica eccezione. «Difficile, senza l’esempio, portare la gente a morire», dice il generale Ferrante Gonzaga, che a Salerno si rifiuta di consegnare le armi e viene falciato dai tedeschi. Un esercito in piena guerra si dissolve in poche ore. «Basta», perché la pelle innanzitutto, perché i capi sono fuggiti, non c’è un ufficiale a dare un ordine e la guerra è perduta. Si sciolgono un esercito, un Paese, una generazione, un mondo. Tutto.
Le facce del dramma
L’8 settembre è un dramma dalle molte sfaccettature. Come nei frammenti di uno specchio frantumato vi si riflette il meglio e il peggio dell’anima italiana, in un’infinita scala di reazioni e valori. Dal tragico al buffo, dal grottesco al sublime. Alle regole e all’ordine si sostituiscono, in una sovversione improvvisa, l’anarchia, la liberazione degli istinti, la lotta per la sopravvivenza, l’eroismo di pochi, la paura di molti. Cadono mille maschere dall’aspetto marziale, anni di retorica sono spazzati via in poche ore. Nel profumo dell’estate che muore sprofonda l’Italia che credeva di essere un Paese vero. Mentre gli ordini urlati dai tedeschi e l’ombra lunga dei panzer feriscono l’estenuata bellezza d’Italia, il disfacimento di tutto fa mutare profondamente stati d’animo, sentimenti, giudizi. Ora le coscienze sono libere di decidere.
Articolo tratto da: «STORIE DALLA STORIA» di Marco Innocenti -